Daniel Pennac,  da “Diario di scuola”

“Bisognerebbe inventare un tempo specifico per l’apprendimento. Il presente d’incarnazione, per esempio. Sono qui, in questa classe, e finalmente capisco! Ci siamo! Il mio cervello si propaga nel mio corpo: si incarna. Quando non succede, quando non capisco niente, mi sfaldo, mi disintegro in questo tempo che non passa, mi riduco in polvere e un soffio basta a disperdermi. Ma, affinchè la conoscenza possa incarnarsi nel presente di una lezione, occorre smettere di brandire il passato come una vergogna e l’avvenire come un castigo.”

“Il mal di grammatica si cura con la grammatica, gli errori di ortografia con l’esercizio dell’ortografia, la paura di leggere con la lettura, quella di non capire con l’immersione nel testo, e l’abitudine a non riflettere con il pacato sostegno di un ragione strettamente limitata all’oggetto che ci riguarda, qui e ora, in questa classe, durante quest’ora di lezione, fintanto che ci siamo.”

“E’ la velocità di incarnazione a distinguere coloro che vanno bene da coloro che hanno qualche difficoltà. Questi, come viene rimproverato loro dai professori, sono spesso altrove. Si liberano più faticosamente dell’ora precedente, cincischiano in un ricordo o si proiettano in un qualsiasi desiderio di altro. La loro sedia è un trampolino che li scaglia fuori dall’aula nell’istante stesso in cui vi si posano. A meno che non vi si addormentino. Se voglio sperare nella loro piena presenza, devo aiutarli a calarsi nella mia lezione. Come riuscirci? E’ qualcosa che s’impara, soprattutto sul campo, col tempo. Una sola certezza, la presenza dei miei allievi dipende strettamente dalla mia: dal mio essere presente all’intera classe e a ogni individuo in particolare, dalla mia presenza alla mia materia, dalla mia presenza fisica, intellettuale e mentale, per i cinquantacinque minuti in cui durerà la mia lezione.”